Descrizione Progetto

TERAPIE NON FARMACOLOGICHE E APPROCCI RELAZIONALI: PROGETTUALITÀ E ATTIVITÀ DEL NUCLEO ALZHEIMER G. SIDOLI

IL METODO PROGES APPLICATO ALLA TERAPIA NON FARMACOLOGICA PER PAZIENTI CON DISTURBI NEURO-COGNITIVI DA MODERATI A GRAVI.

OBIETTIVI:

• Includere anche i familiari nel percorso terapeutico del paziente;
• Dare valore alla parola e al desiderio del paziente, riconoscendolo come dotato di una sua soggettività, in continuità con il suo passato, nonostante la malattia.

LO SVOLGIMENTO DEL PROGETTO TERAPEUTICO:

• Raccolta anamnestica sulla vita del paziente, con l’aiuto del familiare, tramite colloqui e questionario (condiviso con l’equipe).
• Terapia di stimolazione multisensoriale, tra cui la Snoezelen Room, durante la quale vengono raccolte parole e frasi prodotte dal paziente.
• Restituendo al familiare, durante un colloquio con lo Psicologo, le parole e le frasi prodotte dal paziente, è possibile effettuare una vera e propria terapia familiare.
• Al termine del colloquio, viene proposto al familiare di riflettere sulle emozioni e sui pensieri sentiti durante il colloquio stesso.
• Dopo una settimana circa, lo Psicologo effettua un altro colloquio con il familiare durante il quale ci si interroga sulle emozioni e sui pensieri percepiti dopo il colloquio e su eventuali condivisioni con altre persone in merito a ciò che è emerso.
• Condivisione degli elementi emersi con l’equipe di lavoro.

CONSIDERAZIONI GENERALI:

• Tramite questo progetto, chi ascolta il paziente (familiare o oss) può riconoscerlo maggiormente nella sua unicità verso un’umanizzazione delle cure (chi era, cosa faceva, quali erano i suoi interessi e quali gli aneddoti che ancora oggi racconta di sé e della sua famiglia).
• Stiamo fornendo ai familiari degli elementi per dialogare con il proprio caro. I familiari potranno così proporre narrazioni, in forma affermativa, stimolate dalla restituzione stessa che noi facciamo a loro.
Casistiche di familiari coinvolti per ora nel progetto:
1) coloro che si sorprendono che il proprio caro parli perché era da tanto che non sentivano qualche parola;
2) coloro che si sorprendono dei ricordi espressi perché non si aspettavano che il loro caro ricordasse certi dettagli della sua vita;
3) coloro che condividono ciò che è emerso con membri della propria famiglia, anche bambini/nipoti, costruendo un momento ricco di emotività in ricordo del proprio caro;
4) coloro che condividono ciò che è emerso con il paziente stesso, contribuendo in questo modo ad alimentare un dialogo e a creare dei momenti di vicinanza emotiva intensi;
5) coloro che soffrono nel venire a contatto con una parte del proprio caro che pensavano non esistere più, ma che sono disposti a farlo.

LA STIMOLAZIONE MULTISENSORIALE

PREMESSA
Le attuali trasformazioni demografiche legate al progressivo innalzamento dell’aspettativa di vita e al costante aumento della popolazione anziana sono alla base di un importante incremento nell’incidenza di patologie croniche e degenerative, tra le quali le demenze rivestono un ruolo di primo piano, determinando ingravescenti livelli di disabilità che condizionano la qualità della vita dell’anziano e del proprio nucleo familiare con rilevanti ripercussioni per l’intera società sotto il profilo sanitario ed economico.
Secondo il Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di Alzheimer Disease International i dati epidemiologici inerenti le demenze nelle loro differenti forme rendono il fenomeno una priorità mondiale di salute pubblica: nel 2010 35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con ipotesi di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050 con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una stima dei costi pari ad almeno 604 miliardi di dollari ogni anno.
In particolare, in Italia le proiezioni demografiche prevedono che nel 2051 ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani, con un conseguente aumento di tutte le malattie croniche legate all’età, tra cui anche le demenze. Attualmente si calcola che il numero di pazienti con demenza superi il milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni risulterebbero le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza. A partire dai dati riportati, si può facilmente intuire come si tratti di una problematica estremamente complessa che richiede una gestione integrata della malattia e risposte sinergiche su differenti fronti coinvolgendo molteplici ambiti, dall’aspetto assistenziale ed economico fino a quello sociale e psicologico.
In altri termini, appare sempre più evidente l’insufficienza e l’incompletezza dell’adozione di un’impostazione terapeutica incentrata unicamente sul trattamento farmacologico, per cui risulta fondamentale affiancare la gestione della sintomatologia correlata alla demenza secondo un modello medico-centrico con un approccio di tipo globale che permetta di considerare e valorizzare le componenti di tipo psicosociale a fini terapeutici. Se ad oggi non esistono infatti trattamenti farmacologici risolutivi in grado di “guarire” dalla malattia di Alzheimer, questo non significa che non sia possibile “prendersi cura” di coloro che ne soffrono evitando che l’esordio e l’evoluzione della malattia giungano a saturare l’identità della persona, per sua natura, multifattoriale.

Le terapie non farmacologiche
Le linee di indirizzo nazionali e regionali attribuiscono una crescente importanza agli approcci non farmacologici e psicologici alla patologia, i quali possono essere definiti come un insieme di tecniche che si propongono di favorire il mantenimento delle abilità residue, individuare strategie volte al contenimento dei disturbi comportamentali e facilitare l’espressione di una propria soggettività da parte del malato in un’ottica di promozione del benessere e miglioramento della qualità della vita, sia dell’anziano stesso che dei principali caregivers di riferimento.
All’anziano deve quindi essere garantita una presa in carico psicologica, oltre che medica e organica, la cui potenzialità risiede nella possibilità di strutturare interventi maggiormente individualizzati, adatti al livello di deterioramento cognitivo.
Per fare ciò, serve prima di tutto procedere con un approfondimento della conoscenza dell’ospite, della sua storia di vita, dei suoi bisogni, dei suoi interessi o desideri (attraverso anche l’aiuto dei familiari o dei caregiver). In questo modo, diventerà possibile “suddividere” gli ospiti in classi di complessità di funzionamento decrescente, a seconda del loro grado di decadimento cognitivo e ad ogni classe, corrisponderà uno specifico intervento terapeutico. Gli anziani si troveranno in questo modo, a condividere attività, stimoli e risorse con persone con cui avranno in comune un simile livello di funzionamento cognitivo. Le stimolazioni a cui vengono sottoposti gli anziani vanno infatti pensate con attenzione, in quanto vi è il rischio che queste risultino troppo intense da assomigliare ad una “violenza” o troppo deboli da sottostimolare la persona.
Diventa allora possibile procedere con un’iniziale suddivisione fra coloro che sono affetti da disturbi neuro-cognitivi e coloro che non lo sono. Per fare questo, ci si può avvalere principalmente di due strumenti: il colloquio clinico e i test di valutazione del deterioramento cognitivo, (es. MMSE, Mini Mental State Examination).
Gli ospiti senza disturbi neuro-cognitivi, possono beneficiare del coinvolgimento in attività di stimolazione cognitiva o in attività culturali. Essi vanno differenziati dagli anziani con psicopatologie pregresse, ovvero con diagnosi psichiatriche in ingresso, ai quali sarebbe utile proporre la partecipazione ad una psicoterapia di gruppo.
Gli anziani affetti da disturbi neuro-cognitivi invece, possono venire differenziati in tre classi di complessità.
• La prima, coinvolge gli utenti denominati Mild o MCI (dall’inglese mild cognitive impairment, noto anche come “demenza incipiente” oppure “deterioramento isolato della memoria”), ovvero coloro che non mostrano una compromissione cognitiva o che solamente, viene sospettata. Questi, sono gli unici che possono trarre beneficio da interventi di stimolazione cognitiva a piccolo gruppo, finalizzati al mantenimento delle abilità cognitive.
• Nella seconda classe, fanno parte gli ospiti affetti da demenza lieve o moderata, ai quali possono essere dedicati degli interventi volti al rilevamento e riconoscimento della continuità della propria persona. A questo scopo, si prestano bene le attività di stimolazione multisensoriale (musica, immagini, profumi, etc.), attraverso le quali lasciare emergere memorie non mediate dalla cognitività, dando valore alla parola e al desiderio. In questa fascia di complessità, rientrano anche gli utenti afasici, per i quali verranno ricercati, tramite l’aiuto dei familiari, i significanti importanti nella vita della persona. Il loro utilizzo, servirà da stimolo all’espressione (verbale e non), attraverso una forma di comunicazione facilitata. Successivamente, restituendo al familiare quanto emerge, sarà possibile effettuare una vera e propria psicoterapia familiare, al fine di sostenere psicologicamente il familiare nel riconoscimento del suo caro come persona con ancora una “mente”.
• Nella terza classe infine, rientrano i pazienti affetti da demenza grave, in stato vegetativo e gli allettati. L’intervento terapeutico/riabilitativo sarà quello dell’animazione passiva, che coinvolgerà il senso del tatto e del corpo, a cui seguirà un’attenta osservazione delle reazioni della persona.

DESTINATARI
I destinatari del progetto sono gli ospiti del Nucleo dedicato alle Demenze, i quali verranno valutati dallo Psicologo.
Gli ospiti del Nucleo dedicato alle Demenze generalmente, appartengono alla seconda classe di complessità, per la quale risulta idonea un’attività di stimolazione multisensoriale. I pazienti con una demenza lieve o moderata, possono infatti beneficiare di una terapia volta al rilevamento e al riconoscimento della propria continuità identitaria. Si tratta di anziani con un punteggio MMSE compreso fra 10 e 20, per i quali l’attività di stimolazione cognitiva risulterebbe inutile e frustrante (e quindi non benefica), ma che mantengono intatta la capacità di porsi in relazione con l’altro.
In questa fascia di complessità, rientrano anche gli utenti afasici, per i quali verranno ricercati, tramite l’aiuto dei familiari, i significanti, ovvero le parole chiave dense di significato per il paziente e per le relazioni in famiglia. Il loro utilizzo, servirà da stimolo all’espressione (verbale e non), attraverso una forma di comunicazione facilitata.
Se durante la valutazione psico-cognitiva, emergesse invece la necessità di coinvolgere il paziente in attività di stimolazione cognitiva, nel caso il suo livello di deterioramento cognitivo lo permettesse, oppure in attività di animazione passiva individuale, nel caso di una grave compromissione cognitiva, si procederà a strutturare l’intervento più adatto per la persona.

OBIETTIVO GENERALE
Proporre una stimolazione specifica a seconda del livello di demenza di ogni paziente e permettere così che tutti i pazienti vengano coinvolti in un’attività terapeutica idonea al loro grado di deterioramento cognitivo.

OBIETTIVI SPECIFICI
Riconoscere e rilevare la continuità della persona anziana, nonostante il deterioramento cognitivo. Le attività di stimolazione multisensoriale (musica, immagini, profumi, etc.) si prestano bene a questo scopo, in quanto lasciano emergere memorie e ricordi non mediate dalla cognitività.
• Dare valore alla parola del paziente, lasciandolo libero di commentare e reagire come desidera agli stimoli che gli vengono proposti. Sarà infatti importante non interrompere il paziente nel suo eloquio, per quanto possa apparire deficitario nella semantica, e riconoscere in ogni parola espressa un frammento dell’unicità della sua persona e della sua storia di vita.
Restituendo al familiare quanto emerge durante le attività di stimolazione multisensoriale (parole, frasi, ricordi, gesti, movimenti, ecc.), sarà possibile effettuare una vera e propria terapia familiare, al fine di sostenere psicologicamente il familiare nel riconoscimento del suo caro come persona con ancora una “mente”, come ancora “lui”.

METODOLOGIA
Vengono previsti le seguenti attività di stimolazione multisensoriale.
• Musica. Attraverso lo stimolo musicale, gli anziani possono immergersi nelle sensazioni e nelle emozioni che la musica è in grado di trasmettere. Dopo il momento di ascolto dello stimolo, viene proposta una discussione di gruppo riguardante ciò che la musica ha fatto emergere e cosa ha evocato nella singola persona. Nei pazienti particolarmente compromessi a livello cognitivo, si procederà ascoltando attentamente la produzione spontanea di parole o frasi, cogliendo i significati emersi e restituendoli al paziente nel tentativo di effettuare uno scambio verbale che funga da ulteriore stimolo per la rievocazione libera di ricordi.
• Arte. Attraverso lo stimolo visivo, concretizzabile nella visione di fotografie o di immagini artistiche, la persona viene invitata a narrare ciò che lo stimolo stesso ha evocato, in termini di ricordi, aneddoti, sensazioni o emozioni.
• Profumi o stimoli tattili. Attraverso l’uso di molteplici stimoli multisensoriali (stoffe da toccare, profumi, immagini, suoni, ecc.) è possibile lasciare emergere memorie non mediate dalla cognitività.

TEMPI E LUOGHI
I pazienti verranno coinvolti in piccoli gruppi nelle attività di stimolazione multisensoriale una o due volte a settimana, per un tempo di 30 minuti.
Le attività si svolgeranno negli spazi comuni del Nucleo dedicato alle Demenze.

MONITORAGGIO E VALUTAZIONE
I pazienti vengono attentamente osservati durante le attività di stimolazione multisensoriale al fine di cogliere elementi di disagio o malessere emotivo, a cui conseguiranno le opportune riflessioni. Verranno organizzati dei momenti di confronto fra lo psicologo e il professionista che si occupa di effettuare le attività, con l’obiettivo di monitorare l’andamento della stessa, supervisionare le eventuali difficoltà di chi conduce la stimolazione e raccogliere gli elementi emersi (parole, frasi, ricordi, gesti, ecc.).